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Quali sono le diverse tipologie di superfici nei campi da tennis?

Le diverse tipologie di superfici nei campi da tennis: caratteristiche e confronti

La terra rossa è nota per la sua lentezza, l’erba per la sua estrema rapidità, il cemento per la sua durezza e velocità moderata, mentre i campi indoor su tappeto variano da veloci a estremamente veloci. Questa è la percezione generale che la maggior parte dei tennisti ha riguardo alle varie superfici di gioco. In Italia, dove tradizionalmente dominava la terra rossa, questo tema era considerato di interesse marginale. Tuttavia, la situazione sta cambiando. Con l’obiettivo di ridurre i costi di manutenzione e preparare i giovani atleti alle superfici che incontreranno nel circuito internazionale, molti club, incentivati dal “progetto campi veloci” promosso dalla Federtennis, stanno iniziando a optare per la sostituzione della terra rossa con rivestimenti sintetici.

Tutto è profondamente mutato, inclusi i parametri di cui si parlava in precedenza. La terra rossa non è necessariamente lenta come si pensava. L’erba di Wimbledon non è più considerata una superficie veloce. I pavimenti in gomma sono ormai scomparsi dai tornei indoor, e i campi “hard court”, che dominano circa la metà dei tornei professionistici, variano da mediamente lenti a molto lenti, a seconda dei materiali sottostanti e della quantità di sabbia miscelata alla resina. Quindi, nel discutere di superfici dure o veloci, è cruciale essere precisi; per questa ragione, l’ITF ha introdotto una classificazione basata su cinque livelli di velocità per tutte le superfici di gioco. Ma andiamo con ordine.

All’alba del XX secolo, il tennis aveva come scenario principale i campi erbosi dell’All England Lawn Tennis Club a Londra, luogo emblematico di Wimbledon. Questo sport, come molti sanno, trae le sue origini dai prati inglesi. Con il passare degli anni e la diffusione del tennis nel mondo, le superfici di gioco si sono adattate alle diverse necessità locali, al clima, ai materiali disponibili e anche alle tradizioni culturali di ogni paese, portando a un’evoluzione non solo delle regole ma anche del modo di giocare.

Paesi come l’Australia, l’India e il Sudafrica hanno seguito l’esempio britannico scegliendo l’erba come superficie preferita. Al contrario, le nazioni latine dell’Europa meridionale e del Sud America hanno innovato introducendo la terra rossa. Nel nord dell’Europa, invece, dove il clima freddo regna sovrano, si è optato per i tappeti sintetici in ambienti al coperto, mostrando come ogni regione abbia trovato la sua soluzione ideale.

Il clima gioca un ruolo cruciale nella scelta della superficie di gioco, influenzando non solo le tecniche di manutenzione ma anche le tradizioni sportive locali. Negli Stati Uniti, questa diversità è particolarmente evidente: dai campi “hard” della California alla tradizione erbose del New England, fino all’innovazione del Sud con la sua terra battuta verde. In questo mosaico di superfici, la geografia e le condizioni ambientali disegnano la mappa del tennis globale, riflettendo la varietà e l’adattabilità di questo sport nel tempo.

In Italia, il richiamo della terra rossa è innegabile, con la maggioranza dei campi da tennis che sfoggiano questo tradizionale colore mattone. Vi è una certa reticenza nel Paese verso le superfici di gioco alternative al “clay court”, una resistenza radicata nella cultura tennistica italiana.

Una verità non ancora assimilata da tutti è che le superfici denominate “veloci” non corrispondono sempre a questa definizione. La velocità di un campo, in effetti, dipende dalle specifiche richieste durante la sua installazione o ristrutturazione.

Nel circuito professionistico, i campi duri, particolarmente quelli esterni come quelli dell’Australian Open o degli US Open, tendono ad avere una velocità media. Al contrario, i campi al coperto, come il Masters 1000 di Parigi-Bercy o il Masters finale di Londra, si caratterizzano per essere notevolmente più lenti, una condizione dovuta all’applicazione della resina su basi in legno.


I FATTORI FISICI CHE INFLUENZANO LA “VELOCITA’”
Esistono quattro elementi fisici fondamentali che influenzano la “velocità” di una superficie da tennis: attrito, elasticità, smorzamento e rimbalzo.

L’attrito è il fattore che determina quanto di energia cinetica una palla perde quando tocca il suolo. Questo non solo incide sulla velocità generale della superficie ma influisce anche sulla capacità di una palla di mantenere gli effetti rotazionali impartiti. L’elasticità si riferisce alla capacità del terreno di assorbire l’energia degli impatti, sia della palla sia del movimento dei giocatori. Superfici più elastiche possono tradursi in una maggiore velocità di gioco e minor affaticamento muscolare, riducendo così il rischio di infortuni.

Lo smorzamento è legato alla quantità di energia che viene restituita al giocatore all’impatto con il suolo. Valori elevati di smorzamento sono preferibili, in quanto offrono un maggiore comfort e sicurezza, diminuendo l’impatto sui muscoli e sulle articolazioni. Fino a un paio di decenni fa, le differenze tra superfici naturali (come l’erba o la terra) e quelle sintetiche erano notevoli, con le prime che offrivano smorzamenti superiori rispetto ai secondi, considerati più duri e meno sicuri. Oggi, tuttavia, queste discrepanze sono notevolmente ridotte.

Infine, il rimbalzo è influenzato da tutti e tre i fattori precedentemente menzionati. L’altezza del rimbalzo dipende direttamente dall’elasticità (e inversamente dallo smorzamento), mentre il tipo e l’intensità degli effetti rotazionali restituiti dalla superficie sono determinati dall’attrito. Un maggiore smorzamento comporta, in generale, un rimbalzo più basso.


CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DEI CAMPI
Nel contesto della classificazione internazionale delle superfici da tennis, l’ITF (Federazione Internazionale di Tennis) riceve le richieste di omologazione ufficiale delle superfici da parte dei produttori. Esiste un’ampia gamma di superfici, identificate da otto codici che spaziano dall’acrilico all’erba artificiale, dalla terra battuta al cemento, passando per il carpet e altri materiali. Tuttavia, le classificazioni di maggiore interesse sono cinque, che vanno da Slow (1) a Fast (5), con gradi intermedi quali medium slow (2), medium (3) e medium fast (4). In sostanza, se la terra battuta è classificata come 1, le superfici sintetiche occupano il range che va da 2 a 5.

Per quanto riguarda la scelta della superficie più adatta, la terra battuta rimane un’opzione molto apprezzata, ma per campi polifunzionali, l’erba sintetica potrebbe essere una scelta migliore. Nel caso di campi destinati all’insegnamento o all’allenamento, sia per attività agonistica che per scuole di tennis, le superfici di tipo medio, come le categorie 2 e 4, possono essere le più indicate. È fondamentale, però, considerare attentamente le caratteristiche specifiche della struttura e la disponibilità di spazio in relazione agli altri campi esistenti per fare una scelta informata.

Le superfici naturali presentano esigenze di manutenzione significative e, formando i giovani su diversi tipi di terreno, si contribuisce a sviluppare giocatori tecnicamente più versatili. Queste considerazioni possono spingere verso la scelta di superfici sintetiche, indipendentemente dal loro grado di velocità. È fondamentale sottolineare come, rispetto al passato, i campi sintetici siano diventati molto meno lesivi e più simili alla terra rossa in termini di impatto sul gioco. Oggi è possibile godersi il gioco su superfici “dure” o “veloci” senza preoccupazioni aggiuntive, dato che queste non sono più eccessivamente rigide o rapide come un tempo.


Tennis e le leggi della fisica: Velocità del campo? Varia con il tuo stile di gioco!

La varietà delle superfici nel tennis: Il topspin come grande equalizzatore. Uno sguardo approfondito alla fisica della palla da tennis rivela qualcosa di sorprendente.

Nonostante le superfici di gioco nel tennis siano diverse, periodicamente sorge il dubbio che queste differenze si siano omogeneizzate. Tuttavia, le analisi e i dati confermano che le distinzioni, un tempo più marcate, persistono anche nell’era attuale. È vero che l’erba è meno rapida rispetto a qualche decennio fa, ma le differenze tra terra rossa e cemento rimangono significative.

Anche di fronte a campioni del calibro di Djokovic e Nadal, che hanno dimostrato di poter primeggiare anche su superfici meno congeniali, molti giocatori continuano a incontrare difficoltà sui terreni meno affini al loro stile. Ciò evidenzia che il tennis giocato su superfici dure differisce sostanzialmente da quello sulla terra battuta, principalmente per le diverse reazioni fisiche della palla. Se così non fosse, le prestazioni dei tennisti sarebbero omogenee, le partite risultanti simili e i dati sugli ace – un indicatore chiave per valutare la velocità delle superfici – sarebbero uniformi tra le diverse tipologie di campo. Invece, le statistiche mostrano che Nadal serve in media 2 ace per partita sulla terra e 3,5 sul cemento, registrando un incremento del 75%; Federer passa da 5,9 a 7,9 ace (+34%); e Djokovic da 3,7 a 5,6 ace (+51%), sottolineando così le differenze sostanziali tra le superfici.

Sul circuito del tennis, quando si passa alla terra rossa, il gioco si trasforma radicalmente. Ma quali sono esattamente le modifiche che intercorrono nel posizionamento dei giocatori e nell’efficacia dei colpi? Quali sfide i tennisti devono superare su questa superficie rispetto al cemento, e quali benefici possono invece sfruttare? Sebbene questo argomento possa estendersi ampiamente e includere una componente soggettiva legata alle strategie di gioco, è fondamentale iniziare da una base di principi fisici e teorici. Questo approccio ci permetterà di costruire un’analisi ben fondata delle dinamiche del tennis sulla terra battuta. Le riflessioni e le conclusioni dettagliate verranno esposte in un secondo articolo, che pubblicheremo la prossima settimana.

Le variazioni delle superfici nel tennis rappresentano un fattore cruciale nel gioco, nonostante a volte emerga il dubbio che queste differenze siano diminuite nel tempo. Tuttavia, l’analisi dei dati dimostra che le distinzioni, precedentemente più marcate, persistono. È noto che l’erba non è più rapida come lo era qualche decennio fa, ma le discrepanze tra terra rossa e cemento rimangono apprezzabili.

Anche considerando campioni del calibro di Djokovic e Nadal, che hanno saputo adattarsi e brillare anche su superfici teoricamente meno favorevoli, esistono numerosi giocatori che trovano difficoltà su campi non perfettamente in linea con le loro predisposizioni. Di conseguenza, il tennis giocato su superfici dure differisce nettamente da quello su terra rossa, soprattutto per come si comporta la palla a livello fisico. Se non fosse così, le performance tra i vari atleti sarebbero molto simili, le partite si assomiglierebbero di più e le statistiche sugli ace, che servono a valutare indirettamente la velocità dei campi, sarebbero uniformi su tutte le superfici. Invece, l’analisi delle carriere mostra che Nadal segna mediamente 2 ace per match sulla terra e 3,5 sul cemento, con un incremento del 75%; Federer va da 5,9 a 7,9 ace (+34%); e Djokovic da 3,7 a 5,6 ace (+51%).

Pertanto, con il circuito attualmente concentrato sulla terra battuta, il tennis vive una trasformazione. Quali sono i cambiamenti nel posizionamento dei giocatori e nell’efficacia dei colpi? Quali sfide devono affrontare i giocatori su questa superficie rispetto al cemento e quali vantaggi possono trarre? Prima di esplorare le strategie tattiche, che includono un grado di soggettività, è essenziale stabilire una base fisico-teorica. Questo ci fornirà un punto di partenza solido per analizzare in modo approfondito. Le nostre conclusioni saranno discusse in un articolo successivo, previsto per la pubblicazione la settimana prossima.


BASI FONDAMENTALI: IL COMPORTAMENTO DEL RIMBALZO TRA LE VARIE SUPERFICI
Semplificando al massimo, il rimbalzo di una palla da tennis può essere descritto attraverso la fisica come un evento in cui una sfera si muove con due componenti di velocità: una orizzontale (vx1), generata dal colpo della racchetta, e una verticale (vy1), che si oppone alla forza di gravità. Dopo l’impatto con il terreno, sotto un certo angolo, queste velocità subiscono una riduzione (vx2 e vy2), indicando che la palla perde parte della sua energia iniziale, in misura variabile a seconda della superficie di gioco.

Howard Brody, nel 1984, propose un modello iniziale per analizzare questo fenomeno, trattando la palla come un corpo rigido che, a contatto con il suolo, non subisce deformazioni. Questo approccio prevedeva che, indipendentemente dalla superficie e dall’angolo di impatto (purché superiore a 16°), la velocità orizzontale post-rimbalzo fosse il 64,5% di quella pre-rimbalzo. Tuttavia, la realtà mostra che la palla effettivamente si deforma, rendendo la dinamica del rimbalzo molto più complessa e variabile tra le diverse superfici. Infatti, la palla inizia a scivolare per una brevissima distanza (indicata come D), spostando l’asse della forza N che contrasta l’attrito (F) e facilita il rimbalzo verso l’alto.

La durata di questa fase transitoria, e quindi la resistenza opposta dalla superficie al rimbalzo della palla, dipende dall’attrito specifico della superficie e dal tipo di colpo giocato. Su superfici come la terra rossa, questa fase è più lunga, con una maggiore distanza D che rallenta la palla; sul cemento, la fase è più breve, consentendo alla palla di recuperare velocità più rapidamente.

Le proprietà fisiche rilevanti in questo contesto sono il coefficiente di attrito (µ), che indica quanta velocità orizzontale la palla perde, e il coefficiente di restituzione (e), che determina l’efficienza del rimbalzo verticale. Un aumento del coefficiente di attrito implica un rallentamento del gioco, mentre un alto coefficiente di restituzione, paradossalmente, rende il campo più lento, dando ai giocatori più tempo per reagire.

Questi principi sono stati incorporati nella formula del Court Pace Rating (CPR) sviluppata dall’ITF, che fornisce un indice della velocità di gioco basato su test di laboratorio. Tuttavia, questo sistema non considera variazioni come l’effetto del topspin o influenze esterne quali le condizioni atmosferiche e la composizione completa del campo.

Infine, è importante distinguere il CPR dal Court Pace Index (CPI), quest’ultimo derivato dai dati reali di gioco e forse più rappresentativo delle condizioni effettive di gioco, poiché riflette una varietà di colpi e situazioni di torneo basati sui dati Hawkeye.


PARTE SECONDA: LE VERE DIFFERENZE TRA LE VARIE SUPERFICI DI GIOCO
Ora che vi abbiamo introdotto a una certa prospettiva, è il momento di rivelarvi perché potrebbe non essere del tutto accurata. Più specificamente, il fulcro dell’analisi sulla velocità dei campi si concentra sul tipo di colpo giocato. Per lungo tempo, si è dubitato di una sorta di omogeneizzazione delle superfici da parte degli organizzatori dei tornei, volti a privilegiare i giocatori top. Tuttavia, la realtà potrebbe essere leggermente diversa, con una responsabilità che sembra gravare maggiormente sui produttori di racchette, che hanno introdotto sul mercato attrezzi che facilitano il gioco in topspin, e sugli allenatori, che hanno promosso un gioco basato sulle rotazioni.

Se le superfici ci appaiono simili, è perché la maggior parte dei giocatori adotta colpi ricchi di rotazioni. A sostegno di questa tesi, ci sono sia le simulazioni al computer realizzate dall’utente Twitter @fogmount sia le analisi condotte tramite videocamera dal team di Rod Cross, che rivelano un dato interessante: le differenze tra le superfici sono più marcate quando si analizzano i colpi piatti (con un angolo di impatto ridotto) rispetto a quelli in topspin (con un angolo di impatto maggiore).

Utilizzando dati e diagrammi pubblicati da @fogmount, possiamo confermare che le ricerche di Rod Cross, basate su esperimenti pratici, giungono a conclusioni simili.

  • Simulazione di un colpo senza topspin: La simulazione mostra un colpo lanciato a 80 miglia orarie (circa 130 km/h) su terra e su erba. Sulla terra, la palla raggiungerebbe la linea di fondo con una velocità ridotta di circa 8 km/h (-14%), con un ritardo di circa 0,05 secondi e un’altezza superiore di 30 centimetri rispetto all’erba.
  • Simulazione di un colpo con topspin: Al contrario, un colpo eseguito con 4000 rpm (raggiungibili fino a 5000 da Nadal), sempre a circa 130 km/h, mostra che dopo il rimbalzo la palla attraversa la linea di fondo quasi alla stessa velocità e quasi nello stesso tempo su entrambe le superfici (la differenza è trascurabile, appena un millisecondo), con un’unico scarto di circa 30-50 centimetri in altezza, ancora a favore della terra battuta.


TERZA PARTE: ESAME DETTAGLIATO DEI COLPI IN TOPSPIN E BACKSPIN
Abbiamo raggiunto un punto cruciale: non è solo la superficie del campo a determinare la velocità del gioco, ma anche il modo in cui i giocatori scelgono di giocare. La fase di transizione del rimbalzo, di cui abbiamo discusso per illustrare la dinamica fisica, gioca un ruolo fondamentale, specialmente nei colpi in topspin. Questi colpi, caratterizzati da un angolo di incidenza più ampio e una forte rotazione, attraversano una fase di transizione molto più breve, riducendo l’impatto dell’attrito della superficie sul rallentamento della palla.

Analizziamo il rimbalzo di una palla in topspin, considerando sia la sua velocità angolare che la velocità tangenziale. Sebbene ogni punto della palla abbia una velocità angolare propria, ci concentriamo sulla parte superiore e inferiore per semplicità. In un colpo in forte rotazione, la velocità tangenziale superiore supera la velocità orizzontale generale al momento dell’impatto, facendo sembrare che la palla ruoti più su sé stessa che muoversi in avanti.

Durante l’impatto, questa velocità tangenziale si riduce fino a eguagliare la velocità orizzontale, permettendo alla palla di riprendere la rotazione e spiccare di nuovo, subendo un rallentamento minore rispetto a un colpo piatto. In questo scenario, l’attrito di superfici come la terra battuta può addirittura beneficiare il colpo in topspin, preservando la sua velocità orizzontale.

In sostanza, la terra battuta rallenta i colpi piatti più significativamente rispetto a quelli in rotazione, quasi come se il topspin offrisse una via per ‘eludere’ l’attrito e mantenere una velocità che sarebbe difficile da raggiungere con un colpo piatto della stessa intensità.

Le differenze tra le superfici persistono, nonostante alcuni possano percepirle come meno marcate rispetto al passato. Mentre campioni come Djokovic e Nadal hanno dimostrato di poter eccellere su qualsiasi superficie, altri giocatori incontrano maggiori difficoltà su campi meno congeniali. Questo evidenzia come il tennis su superfici dure differisca da quello sulla terra, non solo per la velocità di gioco ma anche per la fisica del rimbalzo della palla, portando a prestazioni diverse tra i giocatori e variazioni nelle strategie di gioco.

Questa è una delle spiegazioni per cui alcuni atleti trovano particolarmente arduo competere sulla terra rossa. Tuttavia, esistono altre ragioni, non solo tattiche, ma anche meccaniche, come l’ampiezza dei movimenti durante i colpi, le variazioni nella traiettoria della palla da una superficie all’altra e quello che nella fisica viene definito “effetto Magnus”. Questi aspetti saranno oggetto di approfondimento nella seconda parte di questo articolo, dove completeremo l’analisi e avanziamo alcune teorie sulle qualità necessarie per eccellere sulla terra battuta.

Per ora, vi lasciamo con una riflessione e un grafico fornito dal nostro fedele utente Twitter, che per noi è quasi come un angelo custode. Riteniamo opportuno affermare che l’analisi della velocità di un campo dovrebbe tener conto anche della reattività ai colpi in topspin, caratterizzati da un ampio angolo di rimbalzo. Non basta valutare la velocità di un campo basandosi esclusivamente su colpi con angoli stretti, come quelli solitamente presi in considerazione nei test di laboratorio per il calcolo del Court Pace Rating (CPR).

Confrontando la performance di un colpo piatto e di uno in topspin su terra e cemento, si osserva che simili confronti possono essere effettuati anche tra diversi tipi di campi in cemento. Come mostra il grafico, esistono superfici – rappresentate nell’area blu, in alto a sinistra – che sono molto rapide (basso attrito) e favoriscono rimbalzi alti (alto coefficiente di restituzione), mentre altre – spostandosi verso destra – tendono a essere più lente (alto attrito) con rimbalzi meno pronunciati (basso coefficiente di restituzione).

In conclusione, esistono campi in cemento che, similmente alla terra battuta, frenano i colpi piatti ma permettono una maggiore velocità nei colpi arrotati. Sono superfici lente, ma al contempo veloci, e la percezione di tali caratteristiche varia in funzione dello stile di gioco di chi vi compete. Non sorprende, quindi, che le opinioni dei tennisti su una stessa superficie possano divergere significativamente. Un esempio emblematico è rappresentato dalle Finals 2013, durante le quali Nadal percepiva i campi di Londra come più lenti rispetto a quelli di Bercy, mentre per Djokovic risultavano essere più veloci.

 

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